Ci siamo, si inizia. Il tampone è negativo quindi posso stare qualche ora a casa. Penso alle parole della mia ostetrica: le contrazioni sono come le onde del mare, partono lente e poi aumentano e il segreto è non farsi sovrastare quando sono alte e di burrasca.

Quando il dolore diventa insopportabile, cerco di stare sopra quell’onda, di farmici portare aspettando che ritorni la totale quiete. Tra una contrazione e l’altra dormo. Alle prime luci del mattino decidiamo che è il momento di andare in ospedale, le contrazioni sono ritmiche anche se non proprio come descritte ai corsi (anzi sembrano meno frequenti rispetto a un paio di ore prima), ma in ogni caso, il sacco è rotto da circa 5 ore quindi è ora di andare.

In macchina i dolori diventano forti e frequenti e inizio a sentire bruciare e premere. Arrivata in ospedale faccio il monitoraggio e vengo lasciata un paio d’ore in attesa a causa di forte afflusso e qualche emergenza: le contrazioni sono rallentate di nuovo e io riesco a riposare un po’ anche se mi sento agitata dall’assenza del mio compagno che non può entrare in sala monitoraggi per le restrizioni Covid.

Finalmente vengo chiamata per la visita e… “dilatazione completa”, le parole che assolutamente non mi aspettavo di sentir dire (e credo nemmeno le ostetriche si aspettassero di dire).

Ci siamo, si corre in sala parto dove ci accoglie una ostetrica poi rivelatasi fantastica in tutto! Mi attacca il monitoraggio, mi fa mettere a carponi perché il bambino “guarda il cielo” (ha l’occipite posteriore) e in un paio di ore di spinte, qualche momento di sconforto e anche un po’ di paura della temuta “rottura d’utero” ci siamo, ecco che vedo nascere il mio piccolo; insieme al mio compagno lo prendiamo tra le braccia immediatamente, lui taglia il cordone, un mescolarsi di emozioni che subito guariscono paura e fatica.

L’arrivo di una nuova vita è sempre qualcosa di potente e la percezione di aver partecipato tutti e tre insieme alla nascita (noi genitori e il bambino, che ha messo il suo per nascere) è ancora più bello. Sono stata fortunata, soprattutto perché ho trovato una ostetrica che ha creduto in me davvero, perché nel mio travaglio non c’è stato nulla che fosse più “di prova” di tutti gli altri travagli. Che brutto modo di chiamarlo: come se nel travaglio, che poi è tutta una vicenda di testa, di lasciarsi andare, di fidarsi di sé, non contassero le parole.

Io non mi sono sentita in prova, quello era il mio travaglio; il mio,del mio bambino e del mio compagno e ce l’abbiamo fatta. Prezioso l’anestesista che nella visita anestesiologica per l’epidurale (che fortunatamente non mi è servita) ha ridimensionato la mia paura di rottura d’utero dicendomi che è vero che è doppia rispetto a una nullipara, ma resta nell’ordine di 1 su 100.

Il postpartum è stato molto diverso dal primo, abbiamo potuto vivere il momento del bagnetto, la prima visita pediatrica, i primi cambi pannolino tutti attivamente, in prima persona. E non da ultimo, 48 ore dopo ero a casa dalla sorellona, ricompattando in fretta la famiglia.

Un’esperienza veramente magnifica, andata molto meglio di come avessi mai immaginato.

Una “mamma podalica” che ha avuto una seconda occasione

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I nomi degli ospedali o dei professionisti, vengono omessi o modificati dalla redazione per evitare ogni relazione con gli specifici punti nascita.
I racconti non possono essere pertanto riconducibili ad alcun luogo di nascita, pertanto la pubblicazione sulla pagina del singolo reparto maternità, non lo identifica come un evento avvenuto in una specifica struttura.

 

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