bambino

Quando il nostro primogenito è stato concepito, ero giovane ed entusiasta, mi sentivo forte e terrorizzata all’idea di diventare madre.

Come ogni mamma, volevo fare tutto ciò che era “giusto” (ignorando la contraddizione insita nel termine stesso), il che mi ha spinto ad informarmi ed informarmi.

Tutto questo leggere mi aveva aperto un mondo di contraddizioni, di approfondimenti, di ascolto, di sbagli sublimati a conoscenza.

Quando questo cucciolo aveva poco meno di 4 mesi, mi è capitato anche di leggere un confronto sulla vita senza pannolino.

 

Il discorso, ricordo, mi appassionò molto per il semplice fatto che “suonava bene” (e con ciò faccio riferimento a quella vocina interiore che esclama “ma certo, perché i pannolini?”).

Il nostro dialogo si è quindi esteso a questo tipo di comunicazione, in modo molto timido;

in mancanza di una tradizione tramandata, le insicurezze gemmano e si avvinghiano scalfendo anche l’istinto.

La venuta alla luce del nostro secondogenito, 3 anni dopo, ha condotto con sé una mamma più sicura.

 

L’accudimento (reciproco) ci ha scoperti vicini, avvolti in un contatto pelle a pelle, fra braccia, bozzoli di tessuto, latte nettarino, ritmi sincronizzati e…una vita senza pannolino (o quasi).

A partire dalla seconda settimana di vita, portandolo costantemente addosso senza l’ingombro di indumenti (era Novembre, ma non c’è meccanismo di termoregolazione più efficace) ho avuto modo di osservare il suo essere, anche in relazione a ciò.

 

Dopo un paio di settimane ho potuto constatare che lui comprendeva benissimo le parole “pipì” e “cacca” (ripetute sino ad allora in ogni relativa occasione) e che, offrendogli l’occasione di espletare i suoi bisogni sollevato in posizione accovacciata, si rilassava e si lasciava andare.

Questa “scoperta” è stata veramente importante.

Nei suoi primi sei mesi (fino al mese di maggio) ho preferito appoggiarmi ai pannolini lavabili durante le uscite (come supporto, non come sostituto), dopo di che ci siamo dimenticati di cosa vuol dire lavare un pannolino.

La notte, avvolto dalle coperte e scaldato dal nostro abbraccio, non li ha (quasi mai) indossati.

 

Ho avuto, pertanto, modo di accorgermi che faceva la pipì ad ogni poppata, così un pentolino in plastica si è prestato come raccoglitore (mentre per la popò ha sempre optato per il w.c.).

Poco fa ho scritto che la notte non ha quasi mai conosciuto pannolini. Il “quasi” è d’obbligo ed è un fatto relativamente recente.

A Settembre, tra influenza e stanchezza, ho sentito il bisogno di dire per un attimo “basta”.

Il problema ovviamente non era l’assenza (o la presenza) del pannolino.

 

La realtà è che ogni pratica di accudimento porta con sé le emozioni e il trasporto del nostro sentirci implicati in un dato momento.

Come ogni fisiologico frangente di de-connessione, ho avuto accesso a nuove prospettive di comprensione.

Nello specifico, grazie a questa esperienza di (mio) “rifiuto”, ho compreso di aver attuato una soluzione non corrispondente alle mie /nostre vere esigenze.

La mia reale necessità era di rallentare i ritmi esterni (lavoro) e di rafforzare quelli interni (attenzioni reciproche in famiglia); di ciò si è reso portavoce questo piccolo competente cucciolo mostrando, col senno di poi, reticenza e contrarietà ai miei affannati tentativi di “rimediare”. Comprensione mia che è giunta lentamente, tant’è che fino a un paio di giorni fa mi domandavo se avesse senso o meno scrivere un post sul tema!

 

Ah, la genitorialità, quante sfumature immense porta con sé!

Io son qua a parlare di l’E.C. , di una pratica che viene fagocitata da una nomenclatura che ha un sapore quasi alieno: quant’è fuorviante!

Si tratta di accudimento, di crescita duale, la base e la sostanza di ogni quotidianità.

Per analogia, potremmo dire che così come non si dona il nettarino nutrimento del seno con lo scopo di svezzare in futuro (nonostante ciò sia una conseguenza naturale e inevitabile che il bambino dolcemente metterà in atto), ma si agisce con l’unico obiettivo di rispondere, nell’esteso qui ed ora, al bisogno di nutrimento e contatto del proprio cucciolo,

allo stesso modo, “non usare” il pannolino, non ha lo scopo di insegnare a tenersi puliti (benché questa sia una conseguenza), ma di rendersi presenti e in ascolto del proprio bambino, rispondendo, nell’esteso qui ed ora, ai bisogni di eliminazione, nel momento in cui sorgono.

 

Sintonizzarsi sotto questo aspetto è anche alla serena portata dei papà e di tutti coloro che hanno modo di prendersi cura in modo esclusivo del pargoletto.

Può suonare rivoluzionario, inapplicabile, presuntuoso perché ciò che non si conosce, disorienta.

Le parole e i pensieri che ho condiviso vogliono inserirsi con spirito umile.

Dietro tutto ciò, non c’è lo scopo di creare proselitismi,

ma il desiderio di condividere ciò che si è vissuto ed appreso, divulgandolo in modo dolce ed incoraggiante.

L’armonia e la comunicazione tra i genitori e i figli non si piega a limiti e si forgia tramite lo stretto legame che gli è proprio.

Ogni genitore lo sa, ogni persona merita di saperlo o di ricordarselo.

 

Marika Novaresio

Vuoi saperne di più? Le Mammole ne discutono qui LINK

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