Da allora, questa modalità di nascita si è diffusa nel mondo e la filosofia ad essa connessa è stata attivamente sostenuta soprattutto negli Stati Uniti ed in Australia, rispettivamente da Jeannine Parvati Baker e Shivam Rachana.
A inizio testo ho parlato della classica definizione del Lotus Birth come di “impropria”, questo perché non si deve pensare che si tratti di una semplice modalità di dare alla luce un figlio, diversa rispetto a quella tradizionale.

Si tratta piuttosto di una “filosofia” di nascita dolce, delicata, equilibrata, rispettosa e coloro che vi si approcciano, condividono un sentire spirituale che si discosta dalla visione comune.
Concettualmente, il legame tra neonato e placenta è molto forte in quanto entrambi hanno condiviso un contatto intimo e prolungato, che è quindi degno di rispetto tanto quanto quello esistente tra una madre e il proprio figlio.

Bambino e placenta sono formati dallo stesso materiale genetico, dalle stesse cellule, hanno il medesimo DNA e condividono pertanto un’unica risonanza: ecco quindi che nel Lotus Birth, la separazione tra i due avviene quando entrambi hanno realmente concluso il loro rapporto e hanno deciso che è giunto il momento di scindersi.
La fase di attesa del distacco è vista come un periodo di transizione, in cui il bambino può separarsi dal corpo della madre dolcemente, gradualmente, con quella pazienza cara all’ostetrica, completando al meglio la formazione del suo corpo eterico.

É all’interno di questo contesto che ha modo di sbocciare la filosofia dell’intimità, dell’integrazione, del bonding e del rispetto verso la natura che caratterizza la visione di alcune donne, coloro che appunto scelgono la nascita Lotus.

É quindi evidente che sembra riduttivo riferirsi al Lotus Birth come… [SEGUE]

 

 

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