In occasione del 6 gennaio si è soliti pensarla in questo modo: da un lato c’è l’Epifania della tradizione Cristiana, cioè la manifestazione della divinità di Gesù ai tre Re Magi, dall’altro lato c’è la Befana, la brutta vecchina che porta i dolciumi o il carbone, legata a non meglio note ritualità pagane.
Due immagini, almeno apparentemente, in contrasto fra loro, che però sono entrambe ricondotte alla stessa data e ad una stessa festività. Come mai?
Forse i Magi e la vecchietta dal naso adunco e la scopa, del tutto simile ad una strega, non sono poi così distanti fra loro. Finalmente vi spieghiamo il perché.
Iniziamo col dire che la parola “Befana” deriva da “bifania” che, a sua volta, è una corruzione lessicale della parola greca ἐπιφάνεια, cioè epifáneia, epifania, che significa “manifestazione”, “apparizione”.
Originariamente la Befana era il simbolo dell’anno che stava per terminare, un anno quindi ormai vecchio, personificato da una vecchina che portava dei doni come buon auspicio per il nuovo anno che stava arrivando.
Questa festa ha origini antichissime, che precedono il cristianesimo e quindi la nascita di Gesù: la ricorrenza, pare infatti fosse collegata ad una serie di riti propiziatori pagani, risalenti al X-VI secolo a.C., relativi ai cicli stagionali dell’agricoltura, ovvero al raccolto dell’anno trascorso, ormai pronto per rinascere come anno nuovo. Questo culto era diffuso nell’Italia settentrionale, centrale e meridionale, attraverso un antico Mitraismo e altri culti affini come quello celtico legati all’inverno boreale.
Gli antichi Romani hanno ereditato questa festività ed hanno introdotto l’immagine delle figure femminili che volavano sui campi coltivati, per propiziare la fertilità dei futuri raccolti, da cui nasce il mito della figura “volante”.
Secondo alcuni, questa figura femminile fu dapprima identificata in Diana, la dea lunare non solo legata alla cacciagione, ma anche alla vegetazione, mentre secondo altri fu associata a una divinità minore chiamata Sàtia (dea della sazietà), oppure Abùndia (dea dell’abbondanza).
Ma in che modo, questa figura femminile, ha acquisito il nome di Befana, un’appellativo che, come abbiamo visto, è direttamente collegato all’episodio biblico dell’adorazione dei Magi, divenuto la prima festa dell’anno nella tradizione Cristiana?
Con l’avvento del cattolicesimo, ma soprattutto a partire dal IV secolo d.C., la Chiesa iniziò a condannare tutti i riti e le credenze pagane, definendole il frutto di influenze sataniche. La figura della vecchietta continuò però a sopravvivere in tutto il basso medioevo, “ripulendosi” da contaminazioni favolistiche o pagane: la simbologia che l’accompagnava non aveva nulla a che fare con i riti satanici; non si trattava infatti di una strega, ma una vecchina affettuosa, rappresentata su una scopa volante, antico simbolo che, da rappresentazione della purificazione delle case (e delle anime), in previsione della rinascita della stagione.
L’antica figura pagana femminile fu accettata gradualmente nel Cattolicesimo, come rappresentazione del dualismo tra il bene e il male. Nel IV secolo dopo Cristo, il teologo Epifanio di Salamina, propose la data la data della dodicesima notte dopo il Natale, come ricorrenza dell’Epifania, assorbendo l’antica simbologia numerica pagana.
Probabilmente a partire da questa sovrapposizione nasce la leggenda della Befana Cristiana. Si narra che, in una freddissima notte d’inverno, i tre re Magi: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, nel lungo viaggio per arrivare a Betlemme, per raggiungere Gesù Bambino, non riuscissero a trovare la strada Chiesero allora informazioni ad una vecchietta che indicò loro il cammino. I Re Magi, invitarono la donna ad unirsi a loro, ma, nonostante le loro insistenze, la vecchina rifiutò.
Quando però i Re Magi se ne furono andati, la vecchina si pentì di non averli seguiti e allora preparò un sacco pieno di dolci e si mise a cercarli, ma senza successo. Da allora la Befana, iniziò a bussare ad ogni porta, regalando ad ogni bambino che incontrava dei dolcetti, nella speranza che uno di loro fosse proprio Gesù Bambino.
Una storia che continua ancora oggi.
L’immagine che abbiamo scelto non è casuale, si tratta dell’Adorazione dei magi (1420-1422) del pittore e monaco fiorentino Lorenzo Monaco, ora conservata agli Uffizi, in cui è possibile osservare un dettaglio singolare: c’è una figura in primo piano che indossa una veste femminile, probabilmente in velluto con ricami in oro, con una cintola, che ricorda la avnet, ovvero la cintura sacerdotale ebraica. L’autore del dipinto rappresenta quindi una regina inginocchiata al cospetto di Gesù Bambino, assieme ai re magi. È un caso raro nell’iconografia legata a questo tema ed è in contraddizione sia con i racconti canonici che con quelli apocrifi. Ad oggi non si conosce ancora chi sia stato il destinatario dell’opera e chi l’abbia commissionata. Non sono stati trovati documenti che facciano riferimento a quest’opera. Certamente La scelta di sostituire un re con una regina è coraggiosa per l’epoca, anche in quanto il magio femmina è rappresentato con la stessa regalità degli altri due magi, ed è segnalata con la presenza dell’aureola.
Una testimonianza ulteriore del mistero collegato ad una festività ricca di significati occulti, che racconta numerose storie.