Che un buon accudimento nella prima infanzia fosse una condizione primaria perché lo sviluppo -innanzitutto emotivo e psichico- del bambino avvenisse secondo canoni armonici, ci era già stato suggerito da vari studiosi del passato. Primo fra tutti Renè Spitz, il quale aveva indagato gli effetti devastanti della deprivazione affettiva nei bambini.
Un’ulteriore conferma dell’importanza del legame continuativo di affetto fra madre e figlio nella primissima e prima infanzia proviene da un autorevole studio condotto dalla dottoressa Johanna Bick e da altri colleghi dello studio clinico di Boston su bambini della Romania.
L’interessante studio ha avuto lo scopo di comprendere, in termini tecnici-scientifici, “quali fossero le conseguenze psicologiche e fisiologiche della deprivazione affettiva nell’infanzia”. Partendo dal presupposto che lo sviluppo cerebrale è strettamente connesso con l’esperienza, questo studio si è rivolto a un gruppo di bambini rumeni di circa 2 anni, che avevano passato almeno metà della loro vita in istituti per bambini abbandonati o orfani.
Lo sviluppo psichico dei bambini rimasti in istituto è stato studiato parallelamente a quello dei piccoli affidati in famiglia, a scaglioni di tempo di 30, 42, 54 mesi, 8 e 12 anni. I risultati di 69 partecipanti sono stati infine utilizzati per l’analisi della sostanza bianca a livello cerebrale, la responsabile del coordinamento del lavoro nelle differenti regioni cerebrali.
I risultati della ricerca hanno mostrato una deficienza di quest’ultima nei bambini che erano rimasti all’interno dell’istituto di accoglienza, addirittura con deficit a livello sensoriale, cognitivo, linguistico e psicologico. Tutti segnali molto più attenuati nei bambini che erano stati affidati ad una famiglia e avevano sperimentato un affetto ed un’attenzione più concreta, e che dimostravano uno sviluppo cerebrale nella norma.
Lo scopo di questo studio è stato quello di dimostrare l’importanza dell’accudimento e della prevenzione per evitare un verificarsi di carenze, non solo affettive ma anche cognitive, nei bambini trascurati o abbandonati.
Precursori di questa visione, i lavori di Spitz risalgono al 1945-46 e richiamano ad un’attenzione riguardo all’importanza del contatto fra madre e figlio a livello soprattutto emotivo. “La tenerezza della madre le permette di offrire al bambino una ricca gamma di esperienze vitali” ricorda lo studioso; particolare importante, dato che “nei primi tre mesi le esperienze del bambino sono esclusivamente di ordine affettivo”.
Spitz mise a confronto un gruppo di bambini ricoverati in istituto, distinguendo chi era accompagnato dalla madre e chi invece era rimasto orfano o abbandonato. Questi ultimi, privati dell’affetto materno, hanno mostrato un’apatia fisica e mentale, che si traduceva nella sindrome che Spitz definì come “ospedalismo” (termine già coniato da Floyd Crandall) quando i bimbi non avessero mai avuto alcun contatto con la madre, e “depressione anaclitica” in caso di brusca interruzione del rapporto, per esempio per morte della madre.
A 70 anni di distanza, questi autorevoli studi giungono entrambi alla stessa conclusione: “la deprivazione del contatto di affetto, così fondamentale nella prima infanzia, porta ad un impoverimento prima che fisico mentale e cognitivo, e ad una sofferenza psicologica che può avere effetti devastanti sul bambino”.
Le Mammole discutono qui di accudimento