Quando una coppia decide che è arrivato il momento di far crescere la famiglia, di veder coronato il sentimento che l’unisce in una nuova vita, mai penserebbe di far parte del 15% di coppie infertili presenti sul territorio nazionale, così come dichiarato dall’Istituto Superiore di Sanità.
Di fatto, passati i primi sei mesi di ricerca senza risultati, solitamente inizia a nascere il sospetto che le cose non vadano proprio come ci si aspetti, ma è ancora presto per ricorrere alle strutture competenti.
I ginecologi concordano nel definire infertile una coppia che dopo un anno di rapporti regolari e non protetti non riesca a concepire; non si riferisce ad una condizione assoluta, bensì ad una situazione generalmente risolvibile e legata ad uno o più fattori interferenti.
Si definisce sterile una coppia in cui uno o entrambi i membri sono affetti da una condizione fisica permanente che non rende possibile il concepimento.
Non va tuttavia dimenticato che una non trascurabile percentuale di coppie riesce ad avere un figlio anche dopo due anni di tentativi, per cui molti preferiscono parlare d’infertilità solo dopo due anni.
Per la maggior parte di queste coppie si può intervenire con diagnosi tempestive, cure farmacologiche e terapie adeguate, ma anche e, soprattutto, con la prevenzione e l’informazione.
Una delle cause principali dell’infertilità è costituita infatti dall’aumento dell’età della coppia che decide di avere il primo figlio: è noto, infatti, che nella donna la capacità riproduttiva diminuisce con l’avanzare dell’età , e inoltre proprio la mancata ricerca di gravidanza negli anni precedenti fa sì che spesso problemi e infezioni di vecchia data lascino uno strascico fondamentale.
La prevenzione risulta fondamentale anche per migliorare lo stile di vita della coppia che desidera avere un bambino. L’attività fisica, una corretta alimentazione e sane abitudini aumentano la possibilità di concepire. Nel caso in cui il problema fosse invece legato ad una patologia maschile o femminile, è importante rivolgersi ad uno specialista che effettui gli adeguati controlli e fornisca la terapia migliore.
Ci sono casi in cui non si ottengono risultati in tempi ragionevoli o viene diagnosticata una patologia irreversibile, diviene dunque necessario ricorrere alla procreazione medicalmente assistita o PMA.
Le tecniche di PMA
In genere si ricorre a tecniche definite di I livello, poichè a basso grado di invasività. La prima tappa è costituita da cicli di IUI, ovvero inseminazione intrauterina.
Si tratta di una tecnica medica che può aiutare in una situazione critica, ma non aumenta la percentuale di fertilità di una coppia ‘normalmente’ fertile che è del 20% circa.
La tecnica d’inseminazione riproduce perfettamente il processo naturale, ma non è in grado di aumentare la possibilità di successo a meno che il problema non sia la riscontrata difficoltà ad ovulare e la donna venga sottoposta a stimolazione ovarica. La tecnica consiste nell’introdurre lo sperma maschile a livello della cervice uterina o dell’utero.
La tappa successiva di solito è costituita dalla FIVET o dalla ICSI, tecniche ad invasività crescente.
Si tratta di fecondazione in vitro che necessita di grande motivazione da parte degli aspiranti genitori: la donna viene sottoposta a cicli di stimolazione ovarica per produrre più ovuli possibili.
Questi verranno prelevati (pick-up), fatti incontrare con lo spermatozoo e, una volta avvenuta la fecondazione, reimpiantati in utero. Nei casi in cui la difficoltà di concepimento sia attribuibile al seme maschile si preferisce procedere con la ICSI, cioè iniettando lo spermatozoo direttamente all’interno del citoplasma dell’ovocita.
In realtà per la coppia l’iter non cambia, infatti la differenza in questi casi è nel lavoro del biologo e nelle modalità di fecondazione.
Questo è un passaggio critico per la coppia: è evidente che è la forte motivazione a spingere una donna a sottoporsi ad iniezioni d’ormoni e a monitoraggi ecografici frequentissimi, percorrendo spesso molti chilometri e investendo moltissime energie fisiche ed emotive.
L’importanza di gestire le emozioni
La scoperta dell’infertilità rappresenta un fattore critico per la coppia che si trova a dover fare i conti con uno status diverso da quello previsto dai canoni sociali di famiglia.
La presa di coscienza del problema da inizio ad un calvario fatto di specialisti, terapie, attese e delusioni che si protraggono molto più a lungo delle normali aspettative.
Una delle cose più importanti da considerare è il senso di colpa che si porta dentro il partner al quale viene diagnosticato il problema.
A tale proposito è essenziale mettere in chiaro che i problemi di sterilità sono della coppia e che questa deve fare fronte comune nella ricerca delle soluzioni, i partner devono sostenersi reciprocamente sia nella delusione sia nel senso di colpa.
La coppia deve imparare a gestire emotivamente l’aiuto degli specialisti, e lo stress del percorso.
Spesso non si tiene conto dell’impatto che questo tipo di situazioni possono generare, con il rischio che si determini un’incapacità a superare la frustrazione e i sentimenti dolorosi.
Al momento della diagnosi la percentuale di coppie che entrano in crisi è molto alta, si trovano a dover affrontare un vero e proprio lutto; la conseguenza può essere la depressione, la chiusura in sé stessi.
L’incapacità a procreare provoca una sensazione di castrazione e impotenza proprio perchè per contro nell’immaginario collettivo generare è una cosa naturalmente ovvia.
Il sentimento d’inutilità, se non gestito con un atteggiamento d’apertura e condivisione del problema da ambo le parti, rischia di portare ad una rottura anche definitiva.
E’ importante riuscire a farsi carico del problema affrontandolo insieme e discutendone apertamente, non negandolo o evitando di pensarci.
Il rischio in queste situazioni è che, anche nel caso di una conclusione felice della fecondazione, l’arrivo del bambino non risolva i problemi di relazione se questi non sono stati gestiti nel modo giusto e per tempo.
Purtroppo la nascita di un figlio destabilizza, se non si è in grado di comunicare e di condividere i propri stati d’animo, può portare a vivere un rapporto con modalità ancor più conflittuali.
Nel caso in cui le tecniche di procreazione medicalmente assistita non vadano a buon fine occorre elaborare il lutto e provare ad avere una vita felice comunque, perchè questo è un passo che stravolge il progetto di vita comune.
Diviene indispensabile modificare l’obiettivo della coppia e credere in un progetto di vita a due.
Mi piacerebbe che parlaste anche di famiglie arcobaleno e delle difficoltà a procreare delle stesse